Go brave or go home!

Brand Content, Social Media

6 Nov, 2019

Ho scoperto l’enorme potere immaginifico e sociale della pubblicità quando ero bambina. C’era questo spot televisivo che mi faceva impazzire, mi incantavo ogni volta che passava in televisione, solo vagamente consapevole di ciò che voleva dire veramente, ma assolutamente rapita dal non detto e da quello che riusciva a trasmettermi. 

Lo spot era “I saved an angel” di Replay e lo potete facilmente trovare su Youtube digitando il titolo – ma noi, che siamo bravi e sappiamo che nessuno ha tempo da perdere, agevoliamo il video QUI

Alla fine dello spot, io chiedevo sempre a mio papà (la televisione a quei tempi era ancora un affare di famiglia) “perché abbassa gli occhi?” e lui mi rispondeva solo “Perché vuole dire sì”.

Non ci capivo molto, ma quella storia mi parlava, e andava a toccare delle corde di me che ancora non conoscevo bene ma che muovevano sentimenti ai quali solo dopo avrei saputo dare un nome: giustizia, empatia, amore, difendere i più deboli. 

Insomma, avere coraggio. 

Oggi quello del coraggio è un concetto al quale i brand non possono più sottrarsi. Ai consumatori non basta più acquistare un buon prodotto efficace da un brand di cui si fidano e del quale condividono la visione. No: vogliono che questo stesso brand veicoli anche i loro ideali, ciò in cui credono, che prenda posizione e che utilizzi il suo potere commerciale ed economico per promuovere giuste cause. 

Non è una questione politica, anzi potremmo dire che trascende la politica e va ad abbracciare quelle che sono le battaglie che un po’ tutti combattiamo, molto quotidiane e molto comuni, con un eco sociale che va decisamente oltre il singolo caso. 

Abbattere stereotipi, stare dalla parte di chi non ha mai avuto voce, essere inclusivi, essere originali, riuscire a fare un passo indietro, non avere come unico obiettivo il profitto: questo quello che i consumatori vogliono, e in buona parte letteralmente esigono, dai brand dai quali acquistano. 

Ci sono sicuramente brand che sono più nel mirino di altri: si tratta di quelli che hanno sempre avuto un’immagine molto conservatrice, che promuovono prodotti scomodi e contraddittori, che sono fortemente settoriali (molto maschili o al contrario estremamente femminili), che per qualche motivo anche indipendente dalla loro volontà si sono ritrovati invischiati in accadimenti sociali che ne hanno richiesto lo schierarsi o, quantomeno, l’esporsi. 

Difficile pretendere la bravery da un brand di pasta (tutti amano la pasta, esattamente così com’è) ma ce ne sono tanti altri che hanno dovuto e ancora devono affrontare questo discorso molto seriamente. 

Coraggio è anche uscire dalla propria comfort zone, e in questo i brand non fanno eccezione: molti sembrano applicare un po’ troppo alla lettera la frase “squadra vincente non si cambia” e, forti delle vendite, portano avanti lo stesso tipo di comunicazione e di messaggi da molti anni, incuranti dei tempi che cambiano e delle cose che continuano a succedere. 

20191128 Disko coraggio img1 Go brave or go home!

Nel settore la chiamano “la regola del 5%”: aziende che dedicano il 5% del proprio tempo, risorse (umane e materiali) e denaro nell’esplorazione di idee assolutamente eretiche nei confronti della propria comunicazione di brand. 

Non è facile e nemmeno immediato: il concetto di disruption, tanto amato anche nelle agenzie di comunicazione, per essere veicolato positivamente e non diventare solo un voler stupire a tutti i costi (spesso con risultati disastrosi) deve essere maneggiato con cautela e attenzione, e queste due cose richiedono tempo. Tempo che spesso non c’è e va ricavato da altro. 

Il principio di innovate or die, però, si fa sempre più impellente e necessario: negli ultimissimi anni. Anche brand che non avevano mai manifestato svolte comunicative né colpi di testa, hanno stupito con esercizi di bravery più o meno riusciti, ma sicuramente audaci. 

Un esempio su tutti è Nuvenia, brand per l’igiene mestruale, che nell’ultimo spot – per il resto rimasto pressoché identico ai precedenti – ha attuato un cambio minimo quanto sorprendente: non più dell’asettico liquido blu quello che viene versato sull’assorbente per testimoniare l’efficacia, ma liquido di colore rosso, molto più vicino a ciò che accade quotidianamente nella realtà di milioni di donne – Commercial

Questo coraggio non è piaciuto a tutti, ma da un lato ci si aspetta che sia così: una famosa frase di Bill Bernbach recita: “Se ti esponi per qualcosa, troverai sempre qualcuno che è dalla tua parte e qualcuno che è contro di te. Ma se non ti esponi mai, non troverai nessuno che sta con te né nessuno che sta contro di te”. 

Il rischio, per i brand che non comprendono questo cambio di paradigma, è appunto quello di essere identificati dai consumatori come poco coraggiosi, non innovatori e pavidi: questo, sicuramente, non va a inficiare la bontà dei prodotti che realizzano, ma a lungo andare fa perdere affezione da parte di chi li ha sempre acquistati, che preferisce dirottarsi verso altro. Non è più solo l’R&D il settore in cui un brand deve investire in innovazione e idee fuori dagli schemi, ma anche quello della comunicazione. 

Per i brand che comunicano principalmente sul digitale (social media e non solo) la sfida è doppia, ma possono esserlo anche i risultati. 

Una campagna o un post possono diventare virali per molti motivi, purtroppo non tutti piacevoli (è un attimo scatenare un fuoco di fila di commenti da utenti inferociti che non hanno colto l’ironia, che l’hanno giudicata un po’ too much o che semplicemente non hanno gradito la svolta del proprio brand di fiducia) ma quando invece diventa virale per i motivi giusti, gli utenti stessi si trasformano in media: i membri dell’audience di un brand ne diventano i primi portavoce, pronti a costruire un network per la diffusione delle sue idee, o funzionare come vero e proprio reminder della sua esistenza. Niente di diverso dal vecchio e caro concetto del passaparola, che questa volta però diventa passaggio di valori e di idee. 

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Quando vediamo che un brand che già ci piaceva e ci convinceva per i prodotti che produceva e i messaggi che veicolava diventa anche portavoce dei nostri messaggi, di ciò in cui crediamo, la nostra fiducia nei suoi confronti aumenta a dismisura così come la fidelizzazione, che non è più legata unicamente alla bontà del prodotto ma a una connessione di ideali. 

Ciò a cui in futuro tutti – brand e agenzie – dovremo puntare è riassumibile in questo concetto: AGILE LONG-TERMISM

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Ovvero un team agile e smart, capace di lavorare in autonomia, con tempi ristretti e ponendosi le domande giuste, che si inserisca però in un concetto aziendale a lungo termine, performante non solo sul momento e capace di focalizzarsi sul raggiungimento dell’obiettivo. 

Quello che si chiede di fare ai brand è, in sintesi, non un’unica campagna sconvolgente e disruptive che nasce e muore lì lasciando il tempo che trova, ma di intersecare e intessere profondamente nella propria comunicazione il concetto di coraggio, che non è l’exploit del momento ma la capacità di alzarsi ogni giorno un po’ più fedeli e un po’ più vicini agli ideali e ai principi che si vogliono comunicare. E di trasmetterli a consumatori e utenti. 

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